Essere omeopati al tempo del covid

Quando l’omeopata studia un malato, sia esso una persona o un animale, cerca di cogliere ogni sfumatura nella sua sintomatologia che si discosti da ciò che è comune e prevedibile, per quella data situazione.
L’omeopata sa bene che non ci sono due malati identici, pur avendo ricevuto la medesima diagnosi medica.
Tutto ciò diventa più chiaro se si considera che l’energia vitale che permea tutti gli esseri viventi ha un modo del tutto unico di reagire agli stimoli, siano essi esterni o interni. Dal modo in cui essa reagisce, ne scaturiscono i sintomi, che per questa ragione, non possono essere uguali per tutti.
In altre parole, ognuno ha una propria sensibilità e suscettibilità.
Per questa ragione un colpo di freddo può ammalare qualcuno e qualcun altro no; un abbandono può segnare la vita di alcuni, ma non di tutti. Anche nel mondo animale assistiamo a ogni possibile sfumatura nel modo di reagire agli eventi.
Ma se è vero tutto ciò, come si può pensare di affrontare una pandemia con la medesima strategia immaginandola valida per tutti, indistintamente?
Anche in ambito omeopatico in caso di epidemia si contempla la possibilità di studiare la sindrome morbosa tenendo conto di tutti i sintomi, fisici e mentali, espressi da un grande numero di individui, identificando un rimedio, detto “genio epidemico” con cui, la maggior parte dei soggetti, ci si aspetta possa guarire. Ma sempre accade che guarirà completamente solo un limitato numero di individui; altri svilupperanno sintomi meno comuni, che chiameranno la necessità di prescrivere un rimedio differente. Accade così, per esempio, nei gruppi piuttosto omogenei degli animali allevati in modo intensivo, poiché sono relativamente simili dal punto di vista genetico e condividono in tutto e per tutto le condizioni ambientali e di gestione. Eppure, ogni veterinario omeopata che si occupi di allevamenti sa bene che un solo rimedio non andrà bene per tutti.
Ma fino a che punto possiamo applicare lo stesso metodo al genere umano? Quante persone possono essere considerate tra loro identiche sotto ogni aspetto?
Quanto influisce la razza, la genetica, le condizioni climatiche, culturali, personali ed esperienziali sul modo di reagire ad una medesima aggressione esterna, quale è un’epidemia? Quanto influisce inoltre, il modo in cui ognuno di noi reagisce ad una minaccia? La percepiamo tutti allo stesso modo? E quanto è correlato il nostro modo di reagire con la probabilità di ammalarsi?
C’è qualche scienziato che abbia mai studiato seriamente questi aspetti?
Su che basi scientifiche, quindi, è fondata la convinzione che una medesima terapia possa essere la soluzione per miliardi di persone diverse in tutto e per tutto?
Non si tratta di essere pro o contro le vaccinazioni, posto che quelle imposte per il Covid-19 lo siano davvero. Si tratta di prendere in considerazione una volta per tutte, che la terapia richiede di essere personalizzata se si vuole che sia efficace per ogni singolo individuo.
La realtà è meravigliosamente complessa e non si presta affatto ad essere descritta da rigidi schemi e mediocri tentativi di semplificazione.