La carne è un lusso che non ci possiamo permettere

Chi di noi non ha un genitore o un nonno che, ripensando alla propria gioventù, non si emoziona al ricordo di come scarseggiasse la carne sulla tavola della propria famiglia e di come anche quel poco fosse destinato in primis al capofamiglia e a chi doveva svolgere un lavoro fisicamente faticoso? Quanto è confortante oggi poter accedere liberamente ad ogni tipo di alimento, diventato così giustamente accessibile per larga parte della popolazione?
Ma, secondo me, qui si nascondono uno dei maggiori fraintendimenti e una delle maggiori deliberate menzogne della nostra cultura consumistica dell’ultimo secolo.
Da una parte si è creduto che la carne fosse, per l’essere umano, il miglior alimento possibile (e così in generale i prodotti di origine animale) e che più ce n’è meglio è: simboli di abbondanza e status finalmente conquistate!
Dall’altra parte si è voluto far credere che dietro le distese di bistecche a buon prezzo nei supermercati ci fosse una macchina produttiva lanciata a pieno regime e pensata al solo scopo di proteggerci da terribili carenze nutrizionali e per esorcizzare un certo senso di indigenza.
Entrambi questi luoghi comuni sono ormai miseramente crollati…ma sembra che nessuno se ne sia accorto!
La verità è che non è più tempo di nascondersi dietro un dito e dobbiamo prenderci la responsabilità di ciò che le nostre scelte sostengono e alimentano.
Dobbiamo renderci conto che la carne, che con tanta soddisfazione e incoscienza serviamo alla nostra tavola, ha un prezzo altissimo, enorme, insostenibile: non più per il nostro portafogli, bensì per gli animali da cui è stata ricavata e per la nostra Madre Terra.
Urge rendersi conto dell’impatto che hanno le nostre abitudini alimentari e di come le nostre scelte possano spostare numeri enormi di soggetti-animali, che se non fossero richiesti dai consumatori, non sarebbero “prodotti” nell’industria degli allevamenti intensivi.
Urge una radicale conversione delle tecniche di allevamento verso nuovi modelli sostenibili già esistenti e rispettosi della biodiversità nonché delle esigenze etologiche delle specie allevate.
Occorre diventare consumatori liberi, informati e responsabili; occorre sempre di più essere produttori sensibili e competenti riguardo a tutte le necessità della specie che si intende allevare e non solo a quelle squisitamente metaboliche; occorre che i veterinari impiegati nelle aziende che producono derrate di origine animale siano formati in modo da sorvegliare sul benessere psico-emotivo oltreché sulla salute dei soggetti-animali pretendendo una gestione lungimirante e rispettosa e ricorrendo a medicinali con impatto ambientale il più possibile vicino allo zero (omeopatia, fitoterapia, oligoelementi…).
Sarà utopistico immaginare che nel futuro l’Uomo recupererà il ricordo di essere nato come animale fruttariano, ma questo non può essere una scusa valida per mantenere lo status quo.
La carne e in generale i prodotti che derivano in qualsiasi modo dagli animali allevati in modo industriale e intensivo, hanno un prezzo altissimo: quello della loro vita, per lo più molto breve e trascorsa nella sofferenza e nella privazione delle loro esigenze più essenziali.
Immagino che se la scelta dei consumatori fosse sempre più orientata verso prodotti locali provenienti da piccole realtà condotte nel pieno rispetto della vita degli animali (almeno finchè vivono) e se la quantità di prodotto richiesto fosse drasticamente calmierata da prezzi giustamente elevati soprattutto a diretto beneficio del produttore, forse potremmo avvicinarsi ad un modello almeno sostenibile, ecologicamente ed eticamente.
Potrebbe essere il primo passo.
In fondo non ci vuole una rivoluzione lunga altri cento anni: recentemente, quando i consumatori hanno cominciato a storcere il naso verso i prodotti contenenti olio di palma e hanno scelto di lasciarli sugli scaffali dei supermercati, ci sono voluti ben pochi mesi prima che le industrie alimentari ricorressero a olii alternativi facendosene vanto in bella vista sulle confezioni!
Capisco che privarsi dell’olio di palma sia concettualmente semplice mentre altra cosa sia convincersi che i prodotti di origine animale, in primis carne, latte e derivati, siano un lusso che non ci possiamo più permettere sia meno automatico, ma questa è la realtà a cui faremmo bene ad adattarci.
Ci viene chiesto di essere resilienti e questo anno appena trascorso ci ha allenati nella fiducia di poterci rapidamente adattare ai cambiamenti necessari: ognuno nel proprio piccolo è libero di fare le scelte giuste non solo per sé ma per tutte le forme di vita con cui condividiamo la nostra casa Terra.
Presso le popolazioni indigene sopravvive l’usanza di rendere omaggio al prezioso animale che si presta a farsi cacciare per nutrire l’uomo e nulla va sprecato.
Penso che anche l’uomo moderno debba recuperare almeno l’atteggiamento interiore di rispetto e riconoscenza per le creature di cui si ciba evitando ogni genere di spreco, finché non arriverà il giorno in cui lo ritenesse definitivamente un atto indegno.