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Amici Fino in fondo: alle radici dell’accanimento terapeutico

Amici Fino in fondo: alle radici dell’accanimento terapeutico

Articolo a cura di Stefano Cattinelli - Medico veterinario (medicina integrata)

Tale concetto ci porta innanzi domande del tipo: qual è il limite della somministrazione delle terapie, del cibo e dell’acqua rispetto al momento che l’animale sta vivendo? In che modo il protrarsi delle terapie nei suoi confronti e riguardo al suo sostentamento influenzano la sua dipartita?

Dobbiamo sapere che la parola accanimento deriva etimologicamente proprio dalla parola cane, immaginando che un cane possieda un’innata tenacia nell’inseguire la preda fino allo stremo delle forze.
Sostanzialmente, con questo termine si vuole indicare delle azioni che non hanno termine fino a che non si è raggiunto l’obiettivo prefissato.

È dunque importante sapere che in un contesto di accompagnamento alla fine della vita, dove la morte è l’unico e inevitabile punto di arrivo, certi nostri gesti, certe azioni e anche certi pensieri, possono avere un effetto reale sulla fluidità con la quale l’animale affronta il suo ultimo periodo di vita e possono realmente rallentare o ostacolare la sua naturale tendenza a scivolare morbidamente dentro la sua morte.

Se da una parte ognuno di noi è in grado di rendersi conto che il passaggio dell’accettazione della fine della relazione con il proprio animale per molte persone può rappresentare uno scoglio quasi insormontabile, dall’altra, ho spesso riscontrato che tale difficoltà non riguarda solo la relazione che abbiamo con quello specifico animale quanto piuttosto un certo nostro modo di essere che a volte ha radici nel sistema famigliare e/o nella nostra storia biografica.

La relazione con il nostro animale, ancora una volta, ci offre la possibilità, che più che occasione, in questo caso, potremmo definire, senza ombra di dubbio, con il termine di “dono”, aiutandoci a dare un senso sia alla relazione che abbiamo con lui che ad osservare come e quanto i gesti che gli rivolgiamo non sono separati dal nostro contesto esistenziale.

Un giorno una donna mi raccontò che stava vivendo un profondo conflitto nei confronti della proposta che il veterinario le aveva fatto riguardo all’applicazione di un sondino naso-esofageo al suo anziano gatto che, a causa di un tumore alla bocca, non era in grado di alimentarsi autonomamente.

Il conflitto nasceva dal fatto che i suoi figli erano contrari, perché vedevano che l’anziano gatto già si stava spegnendo naturalmente senza sofferenze, mentre lei avrebbe preferito seguire il consiglio del veterinario.
Affrontammo questo tema con la metodica delle Costellazioni Sistemico Famigliari e quello che emerse ci aiutò non solo a capire l’origine della tenacia con la quel la donna stava affrontando l’ultimo periodo di vita del suo amato gatto ma anche a facilitare la fisiologica dipartita del micio.

Dopo la sessione di Costellazioni, che misero in luce che tale dinamica non riguardava direttamente il gatto quanto piuttosto la relazione con il fratello della donna, lei mi raccontò che quando era piccola, nelle campagne di un piccolo paese della Basilicata dove aveva trascorso la sua infanzia, sua mamma, per moltissimi anni, l’aveva obbligata a portare da mangiare a suo fratello maggiore che, a causa di un diverbio con il padre, viveva in una casetta semi abbandonata nelle vicinanze della casa paterna.

Il dono che in quel momento le stava facendo il suo gatto, le permise inoltre di vedere con nuovi occhi anche la relazione con sua figlia che in passato, reagendo all’insistenza di sua madre riguardo al cibo, era passata attraverso una dolorosa fase di anoressia.

Passo dopo passo, via via che le varie immagini apparivano alla coscienza della donna, il gatto spontaneamente e senza dolore si spense e la sua uscita di scena coincise con la nascita di una nuova armonia all’interno del sistema famigliare.

L’accanimento terapeutico può ovviamente avere anche delle radici più recenti perché, se lo guardiamo da vicino, non riguarda solo il tema della non accettazione nei confronti della morte o della fine di quella specifica relazione, ma rappresenta spesso una posizione interiore, una presa di posizione reattiva, rispetto ad un “non mollare il colpo” nei confronti di un altro membro della famiglia.

Una ragazza si trovava ad accompagnare un’anziana gatta che non mangiava da parecchi mesi.
La gatta viveva solo grazie all’alimentazione forzata che la ragazza le dava ogni giorno.

Seguendo le line guida dell’approccio sistemico che comprende anche il lavoro sugli archetipi, mi sentii di domandare alla ragazza qual era la relazione con sua mamma. Subito la ragazza, attraverso il suo dire, mise in luce la presenza di un muro creato da una presa di posizione estremamente intransigente ormai molti anni fa nei confronti di sua mamma.

Una dinamica decisamente battagliera dove la ragazza si trovava sempre in prima linea a difendere, in ogni occasione, le proprie posizioni su qualunque argomento.

La rigidità che contraddistingue le relazioni con i nostri familiari, nei momenti di fragilità e di debolezza come quelli che siamo costretti ad attraversare nell’atto di accompagnare il nostro animale a spegnersi naturalmente e serenamente, emerge in tutta la sua potenza e di fatto ha la sua influenza sull’andamento degli eventi.

Infatti la ragazza mi confidò che pochi mesi prima era stata costretta a praticare l’eutanasia ad un’altra gatta proprio a causa di una situazione analoga: la gatta non mangiava e lei aveva insistito imperterrita sulla sua strada come se si trovasse sempre in prima linea a combattere qualcosa o qualcuno.

Non finirò mai di ripeterlo: l’animale che vive con noi non può essere mai separato dal nostro vissuto biografico né dal nostro sistema familiare.

Quando lo si accompagna, nell’ultimo tratto di strada che si percorre insieme, molto spesso tali tematiche emergono prepotentemente proprio perché quell’amore che ha caratterizzato l’intera sua vita con noi chiede di manifestarsi all’interno di tutto il sistema familiare.

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